Il colore perfetto: la storia del blu nell’arte

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La storia del blu nell’arte, dagli antichi egizi ai giorni nostri. Un viaggio appassionante tra pietre color del cielo e alchimia.

Si dice che il blu sia il colore più amato nel mondo. Nel 1400 il pittore fiorentino Cennino Cennini scrive, nel suo trattato “Il Libro dell’Arte”:

“Azzurro oltramarino si è un colore nobile, bello, perfettissimo oltre a tutti i colori”

Tuttavia, le fortune del blu sono state altalenanti nel corso della storia: per gli Egizi è il colore degli dei, ma è destinato al buio delle tombe. I Greci lo ignorano e i Romani lo disdegnano. L’eclissi del blu nei tempi antichi, è forse legata al fatto che era difficile trovare in natura un azzurro che fosse stabile, intenso, facilmente reperibile.

Azzurrite e blu egizio

La storia del blu, colore assente nell’arte rupestre del Paleolitico, inizia ai tempi degli antichi egizi. All’epoca, l’unico minerale relativamente abbondante di colore azzurro era un carbonato di rame, ribattezzato azzurrite nell’Ottocento. Nell’Italia medievale era detto Azzurro della Magna (Alemagna, Germania) perché proveniva dalle miniere situate nell’Europa centro-settentrionale.

Usato per smaltare la ceramica, l’azzurrite variava da un blu scuro ad un azzurro chiaro, e aveva il difetto di non essere adatto all’affresco, perché tendeva a polverizzarsi e cadere.

Cosi gli antichi egizi si ingegnarono e scoprirono il primo primo pigmento di sintesi della storia, riscaldando ad alte temperature una sapiente miscela di azzurrite e malachite, carbonato di sodio e sabbia. Ne ricavavano una sostanza vetrificata, la cosiddetta Fritta di Alessandria, che veniva utilizzata per realizzare vasi, stauette, oppure macinata per ottenere il pigmento Blu Egiziano. Dall’altro capo del globo, lo stesso pigmento veniva sintetizzato dai cinesi, il cosiddetto Blu HAN.

Tomba dello scriba egiziano Nebamon, Tebe, 1330 a.C.

Affresco in una Tomba Han, Luoyang, 25-220 d.C.

Si trattava di un blu chiaro, stabile, non tossico, facile da produrre, e per questo si diffuse in tutto il mediterraneo; nel primo secolo l’architetto romano Vitruvio descrive la ricetta per produrre l’azzurro egizio, importata da Alessandria da un tal Vestorio di Pozzuoli. Utilizzato per circa quattro millenni, il suo impiego è misteriosamente diminuito in modo drammatico durante l’Alto Medioevo.

Affreschi della Villa di Livia, Roma, 40-20 a.C.

Tuttavia, la scoperta della sua presenza negli affreschi di Raffaello nella Villa Farnesina di Roma, alimenta il mistero che circonda questo pigmento.

Scomparso il blu egizio, agli artisti medievali non resta che tornare all’azzurrite, magnifico nella tempera su tavola, ma problematico per gli affreschi, soprattutto se il blu è il colore dominante. Un esempio celebre è il ciclo dipinto da Giotto nella Cappella degli Scrovegni, a Padova, all’inizio del Trecento. Qui l’artista cerca di rendere stabile l’azzurrite applicandola a secco, ma con il tempo il pigmento si è polverizzato, come si vede nel cielo e nel manto della vergine nel riquadro della fuga in Egitto.

Giotto, Affreschi Cappella degli Scrovegni, Padova, riquadro della fuga in Egitto, 1303-1320

La storia del blu che veniva da “al di là del mare”

Sicuramente ai tempi di Giotto era già conosciuto in Europa l’unico pigmento che poteva rivaleggiare con il blu del cielo più terso, profondo e intenso.

Questo era racchiuso in una pietra estratta dai tempi più remoti nel cuore delle montagne di una valle impervia dell’Asia centrale. Le miniere di SareSang, nel nord dell’odierno Afganistan, custodivano una roccia composta da diversi minerali, che i persiani chiamavano lâžavard, e i romani lapis lazulum, pietra azzurra.

Da quel luogo remoto la preziosa pietra viaggiava in carovane lungo le antiche vie commerciali verso Mesopotamia, Egitto, India, Cina, per essere trasformata in gioielli e vasellame, ma raramente la si usava per farne un pigmento, poiché per ottenere il tipico blu intenso si dovevano usare pietre che contenevano cristalli di Lazurite purissima che, è bene notare, non ha nulla a che fare con l’azzurrite.

Dobbiamo aspettare gli alchimisti arabi che, nell’alto medioevo, riuscirono a separare in modo efficace la lazurite dalle impurità ottenendo il pigmento puro. Nel 1271, Marco Polo visitò le miniere e scrisse: 

“E quivi, in un’alta montagna, ove si cava l’azurro,  è ’l migliore e ’l piú fine del mondo”. 

Fatto sta che furono proprio i mercanti veneziani ad importare il prezioso pigmento, che in occidente prese il nome di “ultramarinum”, cioè proveniente da “al di là del mare”, da cui il nome di oltremare.

Più costoso dell’oro, l’oltremare divenne il “blu” per antonomasia, uno dei colori più ricchi e preziosi, e assieme all’oro e al vermiglio va a formare la triade iconografica per le rappresentazioni sacre. 

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Anonimo, pannello destro del Dittico di Wilton House, 1395// Beato Angelico, Madonna con il Bambino, 1440

Dall’inizio del 1600 le principali fonti dei minerali con cui si ottenevano l’azzurrite e l’oltremare divennero poco accessibili per diverse ragioni, soprattutto nel nord Europa, dove l’unico pittore che continuò a usare l’oltremare fu Jan Vermeer.

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Jan Vermeer, la Lattaia, 1660                                                   Jan Vermeer, Ragazza col turbante, 1665

I pigmenti blu di sintesi moderni

Dobbiamo aspettare l’arrivo dei pigmenti di sintesi moderni per ritrovare l’abbondanza di blu nelle opere pittoriche. Apre le danze il blu di Prussia, scoperto per caso e messo in commercio nel 1708.

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Blu di Prussia: Katsushika Hokusai, La grande onda di Kanagawa, 1830
Il periodo blu di Picasso, 1901-1904
Vincent van Gogh, La Mousmé, 1888

Ma i chimici erano alla ricerca di un blu che sostituisse il più ambito, il blu oltremare. Il chimico francese Louis Jacques Thénard parte dallo smalto blu delle ceramiche di Sevres per la sua ricerca. Lo stratagemma di triturare i vetri colorati per ottenere uno smalto blu, usato per la ceramica, le piastrelle e i mosaici, era stato utilizzato fin dall’antichità. 

In Europa, le vetrate delle cattedrali gotiche sfoggiavano un blu intenso e luminoso, mentre i pittori veneti del rinascimento usavano lo smaltino, un pigmento ricavato dagli scarti delle vetrerie di Murano. 

Il colore blu di questi vetri era dovuto all’ossido di cobalto, e Thénard non fa altro che combinarlo con l’allumina, ottenendo il blu di cobalto. Siamo nel 1802 e questo bellissimo pigmento sostituisce il blu oltremare, ma il problema è lo scarso potere colorante.

Blu Cobalto: William Turner, La valorosa Téméraire trainata al suo ultimo ancoraggio per essere demolita, 1838 // Vincent van Gogh, Notte stellata, 1889

La ricerca del blu oltremare di sintesi continua. Nel 1824  la Francese  Societé d’encouragement pour l’Industrie Nationale offriva un premio in denaro molto sostanzioso per chiunque riuscisse a sintetizzare il blu oltremare. Il premio fu vinto 4 anni più tardi dal chimico Jean Baptiste Guimet, e il pigmento prese il nome di blu Oltremare Francese.

Ora che i pigmenti sono più accessibili, non ci sono più ostacoli per il trionfo del blu. 

Aprono le danze gli impressionisti, poi il Novecento si apre con il Cavaliere Blu di Kandinsky e il suo almanacco, e, passando per le Avanguardie e i movimenti artistici che affollano il secolo breve, si smaterializza nell’astrattismo per diventare assoluto nelle opere monocromatiche di Matisse e Yves Klein, che brevetta il suo blu personale.

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Pierre-Auguste Renoir, La balançoire, 1876 // Claude Monet, Ninfee blu, 1916-19

Copertina dell’Almanacco del movimento Der Blaue Reiter, 1912 //
Piet Mondrian, L’Albero Rosso, 1908-10

Joan Miró, Blu III, 1961 // Henri Matisse, Nu Bleu II, 1952 // Yves Klein, L’accord bleu, 1960

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